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Mimesia | Bisogna dire una Bugia per raccontare la Verità
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Bisogna dire una Bugia per raccontare la Verità

Bisogna dire una Bugia per raccontare la Verità

Bisogna dire una bugia per raccontare la verità

A distanza di tre anni dalla pubblicazione del mio libro, ho potuto constatare che, in generale, l’umanità non è pronta per guardare in faccia la verità, qualsiasi essa sia. Se avessi scelto di dichiarare che in fin dei conti, era solo un romanzo, forse sarebbe stato meglio per alcuni, non per tutti per fortuna.

Bisogna dire una bugia per raccontare la verità.

E forse non è una strada del tutto sbagliata, ai bambini si scelgono sempre le parole da usare perchè non hanno ancora gli strumenti dell’esperienza per comprendere concetti più grandi di loro, e la stessa cosa va fatta con le persone: a piccoli passi, sorso dopo sorso, goccia dopo goccia. Esistono verità che non tutti sono pronti per guardare e che non sono per tutti. Questo ho imparato. Scegliere le parole non toglie niente all’autenticità del racconto, semplicemente accompagna per mano e indica, suggerisce e sprona, con la dolcezza di una madre.

Credo sia proprio una questione di educazione, una sorta di postura mentale per la quale si preferisce edulcorare la pillola, avvalorare un dubbio o un preconcetto, assimilare il pensiero comune, rispetto a dover scegliere di stare di fronte a una narrazione che ci mostra nudi davanti allo specchio della nostra vita.

Non mi riferisco in particolare al libro, credo che sia una difficoltà, quella di essere onesti con se stessi che permea la natura intrinseca della nostra società. Ci siamo abituati al marketing: tutto è una questione di domanda e offerta, di prezzo, di condizioni, di quello che siamo disposti a fare per ottenere qualcosa o qualcuno. La vita si snoda attraverso i caffè che prevedono un giro infinito di amanti e corna, di aperitivi, ultimo modello di scarpa da ginnastica, e nel fine settimana ovviamente, il teatro si sposta sulla costa, stessa spiaggia, stesso mare, stesse corna, stesse modalità per apparire.

Esisti se “fai parte”, se sei nel giro “giusto” (Iannacci aveva già capito tutto trent’anni fa), dimmi chi ti fai e tidirò chi sei, dimmi con chi vai e saprai se conti oppure no.

Tutto il resto non serve. Non esiste e forse infastidisce anche un pò. Fermarsi e chiedersi: ma cosa voglio? Cosa sto facendo? Perché? Non è indispensabile per carità, ma potrebbe tornare utile per contribuire a rendere questo mondo, questa platea di esseri umani senzienti, migliore. La differenza tra artigianale e commerciale, tra raro e dozzinale, tra profondo e superficiale, sta tutta nello scegliere di fermarsi. Chiudere gli occhi e far pulito di tutto quello che non serve. Ma bisogna scegliere, e anche non scegliere è una decisione da rispettare.

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