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Mimesia | Blog
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Attendere. Mi sembra di non aver mai fatto altro nella vita. Non è un esercizio semplice quello di rallentare la mente quel poco che basta ad accarezzare i pensieri, ma non tutti, solo quelli che non si trasformano in lance acuminate.

Attendere. Aspettare un giorno, un luogo, il tempo che verrà e intanto non scordare mai di vivere. Un po’ sospeso, quello sì, ma mai inerte. Aspetto che le ore rotolino un po’ di più tra pranzo e tramonto, quelle fresche del mattino sembrano guizzare fresche di promesse. Sfilano i minuti baldanzosi e fieri in bella mostra al cospetto del sole come se in pugno tenessero la risposta. L’attesa si leviga pazientemente come una scultura rotonda. Attendere un gesto, una telefonata che non arriverà mai, sussurrarsi una bugia per sospingere il tempo un po’ più in là. E tra le righe di un libro far scorrere una lacrima fino a che l’ombra del cielo avvisa che il tempo sta cambiando. Non è più tempo e si deve cercare una nuova forma per sopravvivere al tempo. Attendo. Ho scordato anche cosa. Chi. Ma non si può mai davvero smettere di attendere. Sospesa abbandono la mente e i suoi trucchi. Lascio queste ore scorrere. Mi abbandono, questione di fiducia, ma non ho più voglia. E stancamente cerco altre forme.

Nella confusione totale di questo momento sembra che si sia spalancato il vaso dei venti che Eolo regalò a Ulisse. La rabbia non è amore, la frustrazione non è amore, l’impotenza non è amore. L’amore è amore. Alla base c’è una grande confusione che abbiamo appreso, direi, col latte materno. Riconoscere la vera essenza delle proprie emozioni rappresenta il primo e fondamentale passo per comprenderle ed elaborarle. Confondere e nascondere, etichettare frettolosamente non fa che accrescere il risentimento e la frustrazione.

In un tempo non tempo come questo, sentirsi preoccupati, spaventati, arrabbiati è normale. Ma agganciare il prossimo utilizzando ipocrisie e metodi manipolatori non aiuta. Anzi.

E’ un tempo di attesa. Di buio. di vuoto. Di insicurezza. Ma scagliarsi a caso imprecando contro tutto e tutti non farà che aumentare il senso di emarginazione, nutrirà le paure, coverà malumori e diffidenze.

Onestà. Imparare a nominare ciò che si prova senza la fretta di attribuire subito un motivo o una causa a ciò che si vive. Stare nel malessere è la migliore delle medicine. L’antidoto arriverà da solo. Il processo di comprensione può sembrare infinito, ma è solo al punto giusto che magicamente si innesca la guarigione, e sarà così semplice e nutriente, che stenterete a crederci. Accusare il prossimo – sia esso lo Stato, un partito, il vicino, un’ideologia avversaria – non fa che alimentare la rabbia e lo scontento.

L’amore è altro. E’ assenza di attaccamento, è presenza, è libertà, è fiducia. L’amore è.
Semplicemente è.

TAS

Ho fatto falò del perbenismo, dell’etichetta, delle buone maniere, della brava ragazza.
Ho fatto falò dei mezzi sorrisi coi nodi in gola.
Adesso sono.

Io
Solo io

E voglio ciò che sono
Senza compromesso, fanculo i giudizi. Libera.
E sola.

Ma è il giusto prezzo da pagare per ciò che posseggo.
Senza rimpianti, solo respiri profondi inspirando l’universo.

E’ un po’ come essere un re senza terra o un cavaliere senza cavallo o un poeta senza rima, io sono una scrittrice senza libro.
In realtà ho sempre scritto tanto nella mia vita, ho riversato su carta e inchiostro ogni singolo battere del mio cuore, ogni più piccola emozione. Ho scritto interi diari tra le cui pagine cercavo un’auto-terapia alla mia solitudine, ho scritto resoconti di viaggi, ho tracciato linee perfette tra le pieghe dei miei amori, ho trovato la strada per il mio cuore e ho scoperto l’universo della fantasia giocando con le parole, ma non ho mai scritto un libro.
La prima volta che vi tentai la ricordo ancora. Avrò avuto circa quindici anni, in un bel pomeriggio di maggio (come per i più classici degli scenari di un tardo Romanticismo), quando, afferrato un blocco di carta riciclata a quadretti ed una preziosissima Bic blu, oltrepassai il giardino di casa per raggiungere l’ombra del più vicino alloro, per immergermi in quella che avrebbe dovuto essere la mia prima opera letteraria. Vi era ovviamente una dolce e solare principessa che amava il suo altrettanto solare principe il cui amore era osteggiato da un malvagio…e qui s’interrompeva il mio capolavoro, primo blocco poetico: perché il malvagio doveva per forza essere cattivo? E perché gli amanti non potevano godersi in pace il loro idillio?
Il blocco finì in fondo ad un cassetto e i principi continuarono ad amarsi a lungo.
Col tempo e gli anni molti altri progetti affollarono la mia fervida mente di scrittrice, ma come per il corso che presero poi le emozioni e le scelte nella mia vita, tutti quei fogli sono rimasti frammenti sparsi tra le pieghe delle case che ho cambiato e tra le fibre dei vestiti che ho indossato.
Ho davvero scritto moltissimo e la mia testa è in continuo fermento, non posso pensare di fare una valigia senza carta e penna o senza un libro (ovviamente di qualcun altro) dentro la borsa.
Uno dei più bei ricordi della mia infanzia e forse l’unico a cui sono davvero molto affezionata, è la sensazione di trepidante attesa e di impaziente curiosità che mi assaliva alla vigilia della fine della scuola elementare. Essendo sempre stata un’ottima alunna diligente, la fine dell’anno scolastico per me non rappresentava una particolare fonte di preoccupazione, quindi tutti i miei pensieri si rivolgevano al momento in cui finalmente mia madre mi avrebbe portata in libreria. Per le vacanze estive si partiva verso la metà di Giugno per rimanerci fino a Settembre, era un vero e proprio trasloco, ma per la mia introversione era un toccasana, tutti infatti erano fin troppo impegnati nei preparativi per interessarsi dei miei umori che comunque mai calzavano i desideri altrui. Comunque, qualche giorno prima di partire, mia madre ed io prendevamo l’autobus (cosa che non accadeva mai) e andavamo nella più fornita libreria di Firenze per uscirne solo dopo molte ore e con altrettanti molti libri. Di solito le buste erano quattro per un totale di circa quindici libri. Ricordo chiaramente l’emozione nel sentirmi circondata dai libri, le mie mani tremavano mentre con estremo rispetto consultavo la trama e annotavo mentalmente chi ne fosse l’autore per il quale ho sempre nutrito un profondo rispetto reverenziale, un’ammirazione incredula quasi si trattasse di magia l’essere capace di suscitare emozioni, passioni, curiosità solo tramite il sapiente utilizzo delle parole, che come granelli di sabbia, briciole di polvere, si amalgamano, si esaltano, si compenetrano le une con le altre per dare vita ad un nuovo universo semplicissimo eppure complesso. E’ come nell’oceano, ogni granello di sabbia, ogni interstizio di roccia, ogni alga, ogni conchiglia, ogni pesce danzano all’unisono con le correnti dell’oceano, con le molecole dell’acqua, diventano spruzzi delle onde, schiuma sulla sabbia, ossigeno vitale per chi vi abita.
Ogni volta aprire un libro è iniziare un’avventura, è seguire un percorso tracciato sulla mappa delle parole, è chiedersi riga dopo riga, pagina dopo pagina: -sarò in grado anche io un giorno di scriverne uno?-

La risposta a distanza di tanti anni e di tanti libri letti è:”No”

Sono una scrittrice senza libro.